Ruolo immunomodulante della vitamina D nella malattia celiaca

Rachele Ciccocioppo, Luca Frulloni

Unità di Gastroenterologia, Dipartimento di Medicina; A.O.U.I. Policlinico G.B. Rossi & Università di Verona

DOI 10.30455/2611-2876-2020-6

Del tutto recentemente stanno emergendo gli effetti extra-scheletrici della vitamina D soprattutto nel mantenimento dell’omeostasi immunologica e della barriera intestinale. Di conseguenza, appare plausibile l’ipotesi di un suo coinvolgimento nella patogenesi di molte condizioni immuno-mediate, tra cui la malattia celiaca. Questa è una malattia infiammatoria cronica che ha l’intestino tenue come organo bersaglio ed è scatenata dall’ingestione del glutine contenuto in alcuni cereali da parte di soggetti geneticamente predisposti. La malattia celiaca è la più frequente malattia non trasmissibile nel mondo in quanto si stima che la sua prevalenza oscilli tra 0,5-1%. Pur tuttavia, nonostante l’elevata se non assoluta attendibilità dei test diagnostici, la sua reale prevalenza è di gran lunga inferiore, circa 1‰, in quanto la poliedricità del quadro clinico e, soprattutto, la paucisintomaticità della gran parte dei casi, unitamente alla scarsa conoscenza di tale condizione, contribuiscono al fenomeno cosiddetto dell’”iceberg”, in cui i casi diagnosticati rappresentano solo la punta del totale. Comunque, fino a oggi, la valutazione del tasso sierico di vitamina D è fortemente consigliata sia nelle forme pediatriche, sia in quelle dell’adulto di malattia celiaca, in quanto l’enteropatia di per sé, e l’eventuale contaminazione batterica del tenue che ne consegue, possono condurre a un malassorbimento di vitamina D, con ovvie ripercussioni a livello osseo. Da pochissimi anni, stanno crescendo le dimostrazioni di un suo ruolo immuno-modulante che si espleterebbe su tutte le popolazioni cellulari coinvolte nella risposta immunitaria. Inoltre, tale vitamina appare svolgere un’azione sia protettiva nei confronti della barriera intestinale, sia di regolazione dell’enterocinesi. Una sua carenza, pertanto, parrebbe rappresentare uno di quei fattori ambientali che, unitamente al glutine e alla suscettibilità genetica, sono necessari per l’innesco e il mantenimento delle lesioni intestinali in questa condizione patologica.

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