Editoriale

Maurizio Rossini

Dipartimento di Medicina, Sezione di Reumatologia, Università di Verona

Editoriale di Maurizio Rossini – fascicolo 2/2020

Cari Lettori,

in questo numero ospitiamo un update del prof. Peroni sul ruolo della vitamina D in età pediatrica e un update del prof. Triggiani sugli effetti della vitamina D nella prevenzione delle patologie cerebrovascolari.

Pensate: a soli due anni dai loro precedenti contributi c’è già bisogno di un update!

Entrambi gli Autori, in maniera equilibrata e obiettiva, ammettono che nonostante la vitamina D abbia degli effetti biologici riconosciuti, ben al di là di quelli scheletrici, gli studi di intervento per valutare l’effetto sulla prevenzione o sul miglioramento delle patologie che si attribuiscono a difetti di vitamina D sono spesso contraddittori, almeno per il momento e che i risultati dei trial clinici, fin qui disponibili, hanno generalmente fallito nel dimostrare un miglioramento significativo degli endpoint nel campo extra-scheletrico pediatrico e cerebrovascolare.

Entrambi gli Autori tuttavia concordano sul fatto che la contraddizione, tra quanto visto in preclinica e negli studi osservazionali di associazione e quanto risulta dai trial interventistici, piuttosto che gettare ombre, crea le premesse per un ulteriore approfondimento sul ruolo della vitamina D nella prevenzione di esiti extra-scheletrici. Concludono che è necessario acquisire nuovi dati per valutare meglio i dosaggi ottimali, la durata della supplementazione e i livelli sierici ottimali per avere degli esiti biologici e clinici positivi. L’attuale analisi dei dati di outcome dei trial non consente, infatti, di escludere il possibile effetto benefico della vitamina D in ambito extra-scheletrico. È possibile infatti identificare un quadruplice ordine di fattori responsabili dei risultati negativi, come riassunto in una recente pubblicazione della Scuola veronese: popolazione di studio che non presentava un alto rischio per l’evento valutato, presenza di cofattori non adeguatamente valutati, periodo di osservazione insufficiente per valutare quell’outcome e livelli pre-supplementazione non carenziali di vitamina D, requisito quest’ultimo essenziale se si ritiene che la vitamina D agisca come nutriente, cioè sia utile supplementarla solo quando manca.

Inoltre, come recentemente ipotizzato da Colleghi francesi, è possibile ci sia un’altra intrigante spiegazione: l’“autacoid paradigm”. Il termine “autacoid” deriva dal greco autos (self) e akos (rimedio). Questo sistema prevede che le molecole siano prodotte e agiscano localmente, a livello intracellulare o tessutale “a richiesta”, mediante signalling autocrino o paracrino. In effetti, come sapete, a livello circolante il sistema endocrino cerca di garantire con una fine regolazione livelli costanti di 1,25(OH)2D, nonostante la grande variabilità dei livelli di 25(OH)D in seguito al grado di esposizione solare o di introito alimentare o supplementare, a eccezione di condizioni di grave carenza o di estremo sovraccarico di vitamina D. Tuttavia, recentemente è stato scoperto un importante metabolismo sia 25- che 1-idrossilasico extra-epatico ed extra-renale della vitamina D, come ad esempio quello a livello cutaneo, adiposo e del sistema immune e nervoso. L’espressione in questi vari tessuti di queste attività enzimatiche e di recettori per la vitamina D rappresenta appunto l’“autacoid system”. Questo sistema, a differenza di quello endocrino, è inducibile, ad esempio in seguito a stimoli infiammatori, e prevede che l’aumento locale dell’1,25(OH)2D sia transitorio e autolimitante, grazie all’induzione della 24-idrossilasi disattivante.

Così le funzioni immunomodulatorie dell’1,25(OH)2D sono limitate nel tempo e nello spazio nelle foci di infiammazione e non interferiscono con i livelli sierici circolanti di 1,25(OH)2D. È evidente che la sintesi locale di 1,25(OH)2D richiede che i suoi precursori, il 25(OH)D e soprattutto il colecalciferolo, siano localmente biodisponibili e ciò dipende sia dai loro livelli circolanti ma anche dalle loro scorte tessutali. Questo nuovo paradigma, molto diverso quindi da quello endocrino, prevede che in particolare gli effetti extra-scheletrici della vitamina D dipendano pertanto anche dalle riserve tessutali dei metaboliti della vitamina D prodotti o inattivati localmente. Considerando questo paradigma, capite che ottenere livelli circolanti di 25(OH)D nella circolazione sistemica è necessario ma non sufficiente, se a livello tessutale per qualche motivo (Insufficiente induzione? Eccessivo catabolismo? Carenza di colecalciferolo o di metaboliti precursori?) non si ottengono adeguate concentrazioni di metaboliti attivi della vitamina D. Ebbene attualmente noi nei trial valutiamo solo (e neppure sempre!) i livelli circolanti di 25(OH)D ma non quelli di 1,25(OH)2D e tantomeno le concentrazioni tessutali, che sono quelle funzionali, in particolare per gli effetti extra-scheletrici. Capite anche che questo nuovo paradigma, scoperto un secolo dopo quello endocrino, apre la strada a nuove intriganti filoni di ricerca, quali la possibilità che talora la somministrazione locale di colecalciferolo o di 25(OH) D possa risultare un’opzione migliore alla supplementazione orale per ottenere alcuni benefici extra-scheletrici. Ad esempio, l’applicazione transcutanea di vitamina D a livello del seno potrebbe essere più efficace di quella orale nella prevenzione e nel trattamento del tumore al seno? O addirittura arriveremo a sconsigliare di coprire il seno per favorire la produzione cutanea locale di colecalciferolo?

Cosa ne pensate? Buona Lettura.

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