Editoriale

Maurizio Rossini

Dipartimento di Medicina, Sezione di Reumatologia, Università di Verona

Cari Colleghi

come vedrete in questo numero ospitiamo un articolo del prof. Giannini relativo a un’esperienza italiana “real world” che indica l’utilità, in termini di prevenzione delle recidive di frattura e di mortalità, di un trattamento farmacologico anti-osteoporotico in pazienti affetti da fratture da fragilità, specie se associato a supplementazione con calcio e vitamina D. I risultati confermano quelli derivanti dai primi studi coordinati da Silvano Adami, condotti ormai più di 10 anni fa e che mostravano l’opportunità di associare calcio e vitamina D ai trattamenti specifici per l’osteoporosi per non compromettere e anzi ottimizzare l’efficacia di questi ultimi. 

… E pensare che proprio in questi giorni assistiamo a messaggi mediatici che negano l’utilità clinica della supplementazione con vitamina D di pazienti osteoporotici, secondo me a grave danno degli stessi pazienti, della credibilità dei loro medici prescrittori e del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), quest’ultimo sia in termini di fratture prevenibili, sia di costi per trattamenti farmacologici per i quali viene compromessa l’efficacia. 

Infatti, come temevo (vedasi mio editoriale al fascicolo n. 3/4, vol. 1/2018) l’interpretazione acritica e incompetente di recenti metanalisi, gravate come sapete da numerosi bias, hanno indotto qualcuno, presumo in buona fede, a concludere che il contributo clinico della vitamina D nei confronti delle patologie muscolo-scheletriche, e in particolare dell’osteoporosi, è irrilevante e a sorprendersi del perché molti anziani affetti da osteoporosi la assumano. Questa affermazione deriva chiaramente dall’ignoranza sull’epidemiologia della carenza di vitamina D e sulla fisiopatologia del metabolismo della vitamina D, fosfo-calcico e osseo. L’epidemiologia, come è ben noto, ha documentato una grande prevalenza della carenza di vitamina D in età avanzata, peraltro, considerata la fisiopatologia, giustificabile e non correggibile da un’aumentata esposizione solare, tenuto anche conto dei rischi di quest’ultima specie in età senile. Inoltre, chi conosce la fisiopatologia del metabolismo fosfo-calcico e osseo sa che nella patogenesi dell’osteoporosi senile un ruolo importante è svolto da una frequente condizione di carenza di vitamina D, per i rischi correlati di iperparatiroidismo secondario e/o di osteomalacia.

Ora se il vero obiettivo (e pre-giudizio …) di questa campagna mediatica contro la vitamina D è la riduzione delle spese esorbitanti che stiamo sostenendo per la vitamina D in Italia, ciò mi trova in parte d’accordo. Credo infatti, come anticipato in un mio precedente editoriale, che sia giustificato cercare di ridurre gli attuali costi della supplementazione con vitamina D (e del suo dosaggio sierico!) anche “… ridimensionando le aspettative in particolare nel trattamento dell’osteoporosi, migliorando l’appropriatezza dell’intervento …”. Ora mi spiego meglio.

Ridimensionare le aspettative sulla vitamina D, in particolare nel trattamento dell’osteoporosi, significa ammettere che la sola vitamina D non è da ritenersi un trattamento appropriato per una significativa osteoporosi, specie se già complicata da fratture da fragilità. Avrete notato anche voi che in Italia purtroppo negli ultimi anni vi è stata una regressione nel trattamento dell’osteoporosi anche perché molti medici, per varie motivazioni discutibili, hanno sostituito trattamenti specifici per l’osteoporosi con la sola vitamina D, dimenticando che i primi hanno documentato nei trial clinici la loro netta superiorità rispetto alla sola supplementazione con calcio e vitamina D. è triste e imbarazzante vero vedere nei nostri ambulatori pazienti con già 2 o 3 fratture da fragilità che ritengono di essere appropriatamente trattati con la sola vitamina D! D’altra parte le stesse linee guida della SIOMMMS 1, seppur affermando che “… un adeguato apporto di calcio e vitamina D rappresenta la premessa ineludibile per qualsiasi trattamento farmacologico specifico … e che la carenza di calcio e/o vitamina D è la causa più comune di mancata risposta alla terapia farmacologica dell’osteoporosi ….” ammettono che “… gli effetti densitometrici della supplementazione con vitamina D sono comunque mediamente modesti, proporzionali al grado di carenza e documentati prevalentemente solo in sede femorale. L’effetto anti-fratturativo della vitamina D è modesto e documentato solo per il femore e per le fratture non vertebrali, ma non per quelle vertebrali ….”.

L’altro campo nel quale credo si possa, anzi si debba, migliorare l’appropriatezza del trattamento con vitamina D è quello del suo uso in ambito extra-scheletrico, che effettivamente, alla luce delle evidenze scientifiche attuali, non è sempre sostenibile, come secondo me correttamente concluso, ad esempio nell’ambito dei disordini cardiometabolici, dal Collega prof. Strazzullo, nell’altro importante articolo di questo numero. Tuttavia, come documentato dall’abbondante selezione bibliografica anche in questo numero, vi sono crescenti evidenze che supportano potenziali effetti della correzione di una carenza di vitamina D anche in ambito extrascheletrico … e che giustificano l’opportunità di uno strumento di continuo aggiornamento come la nostra Rivista.

Credo quindi vi sia la necessità di aprire un franco dibattito con le Autorità Sanitarie sul bilancio costi/benefici della supplementazione con vitamina D, anche perché temo che altrimenti qualcuno finisca per “buttare l’acqua sporca con il bambino dentro …”.

Cosa ne pensate?

Buona Lettura

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