Cari Lettori
in questo numero torniamo a parlare di carenza di vitamina D in età pediatrica, la cui prevalenza è tornata ad aumentare in alcuni Paesi, come documentato in Inghilterra. Si, perché come scrive l’Autore dell’articolo a cui abbiamo affidato il compito di un aggiornamento in questo campo, sono cambiati e diventati più frequenti alcuni fattori di rischio come la composizione etnica e il sovrappeso. è aumentata in Europa la popolazione con colorito della pelle più scuro o con abitudini culturali quali la copertura estrema per motivi religiosi, fattori che com’è noto ostacolano la produzione endogena di vitamina D tramite l’esposizione solare. Ma anche la prevalenza del sovrappeso è arrivata al 30% della popolazione pediatrica, condizione anche questa che rappresenta un importante fattore di rischio per ipovitaminosi D e che richiede notoriamente una supplementazione con dosi maggiori, specie se si tratta di obesità. Al fine di assicurare un adeguato sviluppo scheletrico ma anche per probabili benefici extra-scheletrici, si ricorda quindi come sia importante assicurare un adeguato stato vitaminico D nelle varie fasi della crescita, necessariamente ricorrendo a supplementazione specie nei primi anni di vita e se la madre era in condizioni di ipovitaminosi D. In età pediatrica l’Autore sottolinea e documenta come le dosi di vitamina D debbano essere assunte quotidianamente e non in bolo mensile o settimanale, probabilmente perché alte dosi in bolo possono indurre l’espressione di enzimi del catabolismo inattivanti la vitamina D, come anche da noi ipotizzato sulla base dei risultati di un nostro recente studio sulla farmacocinetica. In un precedente numero di questa rivista avevamo anche proposto una giustificazione farmacocinetica e farmacodinamica a supporto degli esclusivi benefici, in particolare extrascheletrici, riportati con la somministrazione quotidiana di colecalciferolo.
Nell’altro articolo ho chiesto agli Autori di fare il punto su una possibile correlazione tra carenza di vitamina D e sindrome dolorosa regionale complessa, più praticamente definita algodistrofia, essendo recentemente stato riportato che pazienti con frattura di radio distale complicata da sindrome algodistrofica presentavano concentrazioni plasmatiche di vitamina D significativamente inferiori rispetto a coloro che non erano andati incontro a questa complicanza. Sulla base delle evidenze disponibili, come vedrete, gli Autori riconoscono che la carenza di vitamina D possa predisporre a un aumentato rischio di sindrome algodistrofica sostanzialmente per due motivi: il primo perché in grado di determinare, anche per il connesso rischio di caduta, un aumento di eventi fratturativi, specie di quelli intra-articolari, predisponenti la sindrome. Il secondo motivo potrebbe essere rappresentato dal fatto che l’ipovitaminosi D rappresenta una condizione predisponente la neuroflogosi e un assetto immunologico proflogogeno, entrambi coinvolti nella patogenesi della sindrome algodistrofica. A riprova di un possibile nesso causale tra livelli di vitamina D e di citochine proflogene, ricordano studi che dimostrano come la supplementazione vitaminica D sia in grado di ridurre la concentrazione sierica di TNFalfa e di IL-6, oltre che di IL-17, come da noi osservato in un recente studio. Da ciò l’ipotesi che una supplementazione con vitamina D possa contribuire a determinare un beneficio aggiuntivo o più rapido del noto approccio terapeutico dell’algodistrofia con neridronato. Probabilmente contribuirebbe anche a ridurre l’incidenza o ad attenuare la manifestazione clinica dell’effetto collaterale degli aminobisfosfonati rappresentato dalla reazione di fase acuta, visto che i livelli sierici di 25(OH)D la modulano.
Cosa ne pensate?
Buona lettura