Editoriale

Maurizio Rossini

Dipartimento di Medicina, Sezione di Reumatologia, Università di Verona

Carissimi, come leggerete in questo numero recenti studi hanno confermato che il deficit di vitamina D nativa (colecalciferolo o D3) ha un importante ruolo nella patogenesi dell’alterato metabolismo minerale e probabilmente anche di alcune complicanze extra-scheletriche dei pazienti con insufficienza renale cronica (IRC). D’altra parte è noto da tempo che il rene è tra gli organi più importanti nella regolazione del metabolismo della vitamina D e delle sue attività endocrine. La più nota tra le alterazioni in corso di IRC è l’aumento del paratormone e sebbene a quest’ultimo concorra anche l’aumento della fosforemia, tipico dell’IRC, si è sempre ritenuto che per gestirlo si dovesse ricorrere a metaboliti attivi della vitamina D (calcitriolo e analoghi), presumendo che l’attivazione della vitamina D fosse una funzione esclusiva del rene e di un rene sano. In realtà è stato recentemente osservato che, anche se è vero che la sintesi renale di calcitriolo si riduce con il progressivo diminuire della funzione renale, la sua completa compromissione si verifica solo quando il filtrato glomerulare è inferiore a 15 ml/min; inoltre l’attività 1-α-idrossilasica è presente in tessuti e organi diversi dal rene, ove ha importanti funzioni autocrine e paracrine, peraltro correlate a potenzialmente rilevanti effetti extra-minerali.

Inoltre leggerete che è stato recentemente osservato che:

la prevalenza della carenza di 25OHD è marcata e largamente diffusa nei pazienti affetti da IRC, non riconducibile alla perdita di funzione renale;

la supplementazione con colecalciferolo è in grado di correggere, almeno parzialmente, l’iperparatiroidismo secondario che caratterizza i frequenti quadri di osteomalacia e di malattia ossea ad alto turnover dell’osteodistrofia renale alla base dell’aumentato rischio di frattura;

la carenza di vitamina D sembra implicata in altre complicanze dell’IRC (proteinuria, rischio cardiovascolare, anemia, progressione della disfunzione renale) e vi sono in particolare osservazioni verso placebo che la supplementazione con colecalciferolo riduce la proteinuria e migliora la funzione vascolare (stimata come variazione del flusso endotelio-dipendente nell’arteria brachiale e della “pulse-wave velocity” carotido-femorale);

non sono stati riportati significativi effetti indesiderati in corso di supplementazione con colecalciferolo di pazienti con IRC, confermando anche in questa condizione il buon profilo di safety della vitamina D nativa.

In effetti le nuove linee guida 1-3 sul trattamento dell’iperparatiroidismo secondario nei pazienti con malattia renale cronica allo stadio 3-5, non in dialisi, suggeriscono di ridurre l’intake di fosfato, di dosare il 25OHD e di supplementarli con vitamina D se carenti, usando le stesse strategie raccomandate per la popolazione generale. Suggeriscono inoltre in questi pazienti di non utilizzare di routine, per l’elevato rischio di ipercalcemia, il calcitriolo o altre forme attive di vitamina D, da riservarsi solo nei pazienti con malattia renale cronica stadio 4-5 con severo e progressivo iperparatiroidismo secondario.

A proposito dell’uso dei diversi metaboliti della vitamina D in questo numero troverete anche riassunte le motivazioni farmacocinetiche, farmacodinamiche e in termini di outcomes evidencebased per l’impiego razionale e sicuro di colecalciferolo, calcifediolo o calcitriolo nelle diverse condizioni cliniche. In particolare viene nuovamente ricordato come anche in condizioni di severa compromissione dell’attività 1-α-idrossilasica renale, i livelli di 25OHD debbano essere mantenuti nel range di normalità per garantire un adeguato substrato alle 1-α-idrossilasi extra-renali. Per quanto riguarda il calcifediolo viene ricordato invece come l’uso più razionale sia riservato fondamentalmente ai pazienti con malattia epatica cronica e riduzione severa della funzione epatica. Ancora dubbio è il significato clinico del miglior assorbimento intestinale, a parità di dosaggio, del calcifediolo rispetto al colecalciferolo, giustificabile dalla diversa farmacocinetica: potrebbe essere compensato da dosi più generose bio-equivalenti di colecalciferolo. Di certo paiono eccessive le dosi tuttora raccomandate nello RCP del calcifediolo per l’osteoporosi postmenopausale di 10-25 gocce e più al giorno, quando è noto da tempo 4 e recentemente confermato 5 che 20-25 gocce di calcifediolo alla settimana consentono di raggiungere livelli sierici ottimali di 25OHD.

Che ne pensate?

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