Editoriale

Maurizio Rossini

Dipartimento di Medicina, Sezione di Reumatologia, Università di Verona

Sino al 2019 si è verificato in Italia un progressivo aumento del consumo di vitamina D (VitD), con conseguente incremento della spesa a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) [Rapporto OsMed (Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali), Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA)]. L’entità e la crescita nei consumi di VitD ha fatto ipotizzare una possibile inappropriatezza d’uso e con il dichiarato intento di ridurla, a fine ottobre 2019 l’AIFA ha pubblicato la Nota 96 che individua i criteri di rimborsabilità della supplementazione di VitD per la prevenzione e il trattamento degli stati carenziali nell’adulto.

Nei primi 20 mesi di applicazione della Nota si è registrata una diminuzione dei consumi e della relativa spesa per la VitD oggetto della Nota, rispetto ai periodi precedenti, ma non è noto se ciò sia da attribuire a un miglioramento nell’appropriatezza d’uso.

In questo numero pubblichiamo due contributi che sollevano dubbi e inducono preoccupazioni sul fatto che la Nota 96 abbia comportato, perlomeno per alcuni aspetti, un miglioramento dell’appropriatezza ma piuttosto un peggioramento.

Nel primo articolo si sintetizza, considerando la fisiologia, il ruolo della vitD nella prevenzione dell’osteoporosi e si aggiorna il tema alla luce di alcune recenti pubblicazioni, evidenziandone talora in maniera critica i limiti, che potrebbero spiegare alcune incongruenze o discordanze. Si esprime, inoltre, la preoccupazione che la contrazione dei consumi anche nelle fasce senili di età, a rischio di carenza di vitD e di osteoporosi, possa aver compromesso un’opportuna e spesso a queste età necessaria supplementazione. Vi ricordo che questo rischio era stato segnalato ad AIFA dal sottoscritto nella veste allora di Presidente della Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS) subito dopo la pubblicazione della Nota 96 e comunicato come preoccupazione nell’aprile 2020 alla luce dei risultati preliminari di un report di monitoraggio di AIFA a 3 mesi dall’introduzione della Nota 96. In particolare, si faceva notare che i dati disponibili non consentivano alcuna valutazione sul fatto che la riduzione dei consumi e della relativa spesa per la vitD fosse da attribuire a un miglioramento dell’appropriatezza. Ci preoccupava in particolare la riduzione significativa dell’uso della vitamina D in età avanzata, notoriamente la più esposta al rischio di carenza, anche perché è noto e da tempo, ma ignorato dalla Nota 96, che sopra i 60 anni vi è una ridotta capacità della cute di produrre adeguate quantità di vitD nonostante l’esposizione solare, principale fonte per soddisfare il fabbisogno. La Nota 96 trascura questo aspetto e in particolare non prevede l’età avanzata come condizione di rischio per ipovitaminosi D e quindi non tutela adeguatamente gli anziani dal rischio di carenza di vitD.

Il secondo articolo analizza alcuni aspetti molto interessanti dell’impatto della Nota 96 sull’uso appropriato della vitD in Italia. In particolare, utilizzando i flussi amministrativi relativi alla prescrizione di farmaci e di esami di un’Azienda ULSS, si è cercato di verificare se la riduzione del consumo di vitD riscontrata dopo l’entrata in vigore della Nota 96 fosse accompagnata da una maggiore appropriatezza nell’uso. Ebbene in realtà dopo la pubblicazione della Nota 96, si è osservato una riduzione dell’opportuna e raccomandata associazione della vitD ai farmaci per il trattamento dell’osteoporosi, secondo me da attribuirsi alla poca chiarezza del testo della Nota 96 su questo aspetto e alla conseguente spesso errata interpretazione da parte dei medici. Da questo punto di vista pertanto il calo osservato del consumo di vitD non è coinciso con un miglioramento dell’appropriatezza prescrittiva ma anzi con un suo peggioramento. Inoltre, la suddetta analisi non ha evidenziato alcun miglioramento nell’altro indicatore valutato e cioè la quota di pazienti in trattamento con vitD senza ipovitaminosi accertata negli ultimi 12 mesi, anche se francamente andrebbero secondo me considerate le condizioni per i quali la stessa Nota non prevede il dosaggio sierico del 25(OH)D o quei pazienti per i quali la continuità terapeutica o il persistere di pregresse note condizioni di rischio di carenza di vitD rendono superfluo, sconveniente, inapplicabile o addirittura non etico pretendere il dosaggio per aver diritto alla supplementazione a carico del SSN.

A ulteriore supporto della necessità di valutare meglio l’effettivo impatto della Nota 96 sull’appropriatezza dell’uso della vitD trovate tra le conclusioni dell’ultimo citato report del monitoraggio di AIFA anche le seguenti: 

“dai dati presentati, dopo 20 mesi la Nota sembra iniziare a perdere di efficacia, se confrontata coi primi mesi della sua applicazione…”;

“valutare campagna di sensibilizzazione alla corretta prescrizione da rivolgere ai medici di medicina generale”.

Cosa ne pensate?

Buona lettura!

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