Editoriale

Maurizio Rossini

Dipartimento di Medicina, Sezione di Reumatologia, Università di Verona

La vitamina D continua a sorprendere. Notate come in questo numero si passi da un possibile ruolo della vitamina D nelle malattie psichiatriche a quello in ambito oncologico. Sappiamo che la vitamina D può avere effetti pleiotropici, ma quale può essere il comune meccanismo biologico principale che li determina? L’ubiquitarietà dei suoi recettori? Gli effetti sul sistema immunitario? La capacità di modulare alcune attività enzimatiche? Gli effetti genomici?

Vediamo che idea vi fate a riguardo considerati i contributi degli Autori in questo numero.

Lo scopo dichiarato dell’articolo sulla vitamina D e le malattie psichiatriche è l’identificazione della relazione di causalità, perché questa consentirebbe di poter comprendere se, e in che misura, la supplementazione di vitamina D possa prevenire l’insorgenza di disturbi mentali o ridurne la sintomatologia. Si parte quindi descrivendo innanzitutto i possibili meccanismi di azione della vitamina D a livello neurologico, prima di descrivere le attuali evidenze derivanti da studi osservazionali o di intervento in questo ambito. Si fa in particolare notare che la vitamina D è coinvolta nell’espressione regione-specifica dei recettori della vitamina D (VDR) in aree quali la corteccia cingolata, talamo, cervelletto, substantia nigra, nell’amigdala e nell’ippocampo, e che la maggior parte di queste regioni esprime enzimi 1α-idrossilasi in grado di metabolizzare 25(OH)D in 1,25(OH)2D3: ciò significa che la vitamina D svolge anche nel cervello umano sia una funzione autocrina che paracrina, che potrebbero entrambe avere un ruolo rilevante nella neuro-immuno-modulazione o protezione e nel normale sviluppo e funzione cerebrale. Nel caso della depressione, dato il coinvolgimento della vitamina D nel controllo della risposta infiammatoria, si ipotizza che essa agisca come meccanismo di modulazione regolando la sovra espressione di citochine pro-infiammatorie associate alla depressione. Tuttavia si fa anche notare che la vitamina D è coinvolta nella regolazione dell’attività di enzimi, quali la tirosina-idrossilasi e l’enzima limitante la velocità di biosintesi di dopamina, norepinefrina ed epinefrina, tutti meccanismi che possono giustificare un’associazione positiva tra deficit di vitamina D e depressione.

Anche il collega oncologo segue la stessa strada e prima di sintetizzare le attuali evidenze cliniche descrive i possibili meccanismi d’azione biologici. Fa notare come un primo livello di interazione tra vitamina D e trasformazione o progressione neoplastica possa far riferimento alla capacità biosintetica locale da parte dell’enzima CYP27B1, la cui espressione è ridotta in alcuni tumori in maniera dipendente dallo stadio e dal grado di differenziazione. In questo contesto anche variazioni nell’espressione del VDR a livello intra-tumorale possono influenzare l’aggressività biologica della neoplasia, modulando l’azione autocrina, paracrina e intracrina della vitamina D. Vi faccio notare come pertanto solo il colecalciferolo e non i vari metaboliti della vitamina D possa garantire i fisiologici e completi effetti locali a livello dei vari organi e tessuti. La potenziale azione anti-tumorale della vitamina potrebbe inoltre esplicarsi attraverso meccanismi prevalentemente genomici, ma anche attraverso meccanismi non genomici.

Con la consueta prudenza che contraddistingue i maggiori esperti, tra cui i nostri Autori, le conclusioni relative agli effetti clinici della supplementazione con vitamina D in ambito psichiatrico e oncologico sono simili: i risultati sono tuttora contrastanti, probabilmente anche in seguito alla multifattorialità della patogenesi, alle diverse valutazioni degli outcome (ad es. impatto sull’incidenza di tumori, rispetto al più convincente impatto sulla mortalità per tumore) e alle incertezze sulle posologie.

Mi pare comunque già consigliabile inserire la valutazione dei livelli di vitamina D anche nel percorso diagnostico di queste patologie ed evitare condizioni carenziali anche in questi pazienti.

Buona lettura!

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