Editoriale

Maurizio Rossini

Dipartimento di Medicina, Sezione di Reumatologia, Università di Verona

Cari Lettori, 

in questo numero vengono approfondite due tematiche, come al solito da parte di Autori esperti e che ci stanno lavorando.

La prima riguarda un update sul possibile ruolo della vitamina D nella dermatite atopica. Si sa che la cute è un organo centrale nel metabolismo della vitamina D, rappresentando sia il sito della sua sintesi che un organo target. La vitamina D regola sia la proliferazione che la differenziazione dei cheratinociti ed è coinvolta inoltre nella regolazione della sintesi delle ceramidi che costituiscono una componente fondamentale dell’envelope lipidico corneocitario, contribuendo così a proteggere la cute da agenti chimici, fisici e microbiologici patogeni. La vitamina D svolge inoltre diverse azioni sul sistema immunitario cutaneo: tra queste l’induzione della sintesi di peptidi antimicrobici, l’inibizione della presentazione antigenica da parte delle cellule di Langerhans e l’induzione di linfociti T regolatori. Ebbene, i pazienti con dermatite atopica mostrano alterazioni genetiche e acquisite nella formazione e regolazione della barriera cutanea e una disregolazione nella risposta immunitaria. Da qui il possibile ruolo della carenza di vitamina D nella patogenesi di alcune malattie infiammatorie e immunomediate della cute quali la dermatite atopica e l’opportunità di escluderla o di trattarla nei pazienti affetti.

La seconda tematica affrontata in questo numero riguarda recenti evidenze epidemiologiche e cliniche che indicano che alcuni benefici, sia scheletrici che extrascheletrici, della supplementazione con vitamina D potrebbero essere limitati alla posologia giornaliera. Studi recenti anche della nostra Scuola hanno in effetti mostrato caratteristiche di farmacocinetica e di farmacodinamica che giustificano la scelta preferenziale della strategia di supplementazione giornaliera rispetto a quella con boli. Abbiamo infatti dimostrato che la dose giornaliera, spesso considerata meno performante, è invece più efficiente rispetto ai boli (a parità di dose cumulativa) nel ripristinare valori normali di 25(OH)D e nell’incrementarli. La spiegazione di tale fenomeno deve essere ricercata nel differente anabolismo-catabolismo della vitamina D in relazione allo schema di supplementazione. I boli di vitamina D, infatti, saturano rapidamente la 25-idrossilasi, responsabile della conversione della vitamina D3 e D2 a 25(OH)D, con conseguente induzione della 24-25-idrossilasi, l’enzima responsabile del catabolismo della vitamina D a 24-25(OH)D (forma inattivata). In altre parole, la saturazione della 25-idrossilasi limiterebbe la conversione dei boli di colecalciferolo a forma semi-attiva, con conseguenti minori effetti biologici. La 25(OH) idrossilasi mi ricorda il forno del pane quotidiano che per massimizzare la produzione ha bisogno di una fornitura giornaliera di una dose di farina ma non si gioverebbe di una fornitura di quest’ultima in maniera intermittente, anche se eccedente. 

Ma c’è un’altra intrigante possibile motivazione a supporto della posologia giornaliera: Il potenziale effetto extra-scheletrico immunomodulatore della vitamina D sembrerebbe infatti essere riconducibile ad una attività diretta del precursore della 25(OH)D, cioè dello stesso colecalciferolo o vitamina D3 sulle cellule immunitarie. I linfociti T infatti, dopo l’esposizione ad un agente patogeno estraneo, esprimono il recettore per la vitamina D che trasduce, in presenza di adeguati livelli di vitamina D3, un segnale di proliferazione linfocitaria e di attivazione dell’immunità adattativa. Questo particolare effetto immunologico sarebbe pertanto mediato dal precursore “inattivo” della vitamina D e non dalle forme biologicamente attive sul metabolismo minerale e osseo. Questo effetto sarebbe quindi indipendente dalle concentrazioni di 25(OH)D, ma più strettamente legato alla disponibilità di vitamina D3 nel circolo ematico. Le dosi giornaliere, quindi, potrebbero presentare il netto vantaggio di mantenere stabilmente elevati i livelli di vitamina D nel circolo, della quale è nota la brevissima emivita sierica, dell’ordine di un solo giorno. D’altra parte è noto che molte cellule, se non tutte, hanno l’attività idrossilasica necessaria per l’attivazione intracellulare della vitamina D. 

Vuoi vedere che stiamo scoprendo, come recentemente ipotizzato, che effettivamente la concentrazione sierica del colecalciferolo è migliore di quella del 25(OH)D nell’esprimere lo stato vitaminico D?

Buona lettura

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