Correlazione tra carenza di vitamina D e COVID‑19: revisione critica della letteratura

Angelo Fassio 1, Giulia Zanetti 1, Davide Bertelle 1, Marcella Sibani 2

1 UOC Reumatologia, Verona; 2 UOC Malattie Infettive, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Verona

DOI 10.30455/2611-2876-2022-5

Dopo poco più di due anni dopo la dichiarazione da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dell’outbreak di SARS‑CoV‑2 come pandemia, adottando la parola chiave “COVID‑19”, troviamo su PubMed un numero sorprendente di pubblicazioni (256.087 pubblicazioni, aggiornato al 19 giugno 2022). Seppur in misura minore, anche la ricerca “COVID‑19 and vitamin D” restituisce un numero significativo di voci: 1.189. Ciò equivale a circa 1,5 lavori pubblicati quotidianamente; per confronto, “osteoporosis and vitamin D” restituisce 10.914 voci, con tuttavia date delle prime pubblicazioni che risalgono sino agli anni ’50. 

Effettivamente, l’interesse sulla vitamina D in questo ambito è stato intenso, sin da subito. Già verso fine 2020 pubblicavamo su questa rivista un sunto delle poche evidenze allora disponibili, e in particolare sui primi dati di associazione tra status vitaminico D e rischio di infezione da SARS‑CoV‑2. 

Da allora, moltissimo è stato pubblicato. 

In questo articolo riassumeremo le osservazioni tratte da una metanalisi prodotta da esperti Italiani sull’associazione tra status vitaminico D e outcome clinici in pazienti affetti da COVID‑19. Tale metanalisi è disponibile open access, e, se siete interessati all’argomento, vi suggeriremmo di leggerla per esteso. A seguire un breve commento sulla qualità delle evidenze attualmente disponibili sul beneficio della supplementazione in questi pazienti.

 

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