Cari Lettori,
vi sarà sicuramente capitato che a una paziente alla quale avevate prescritto vitamina D è tornata comunicandovi di averla sostituita con una combinazione con vitamina K, come consigliatole da qualcuno ritenendola più efficace della sola vitamina D. Superata la sensazione di dispiacere o di disappunto vi sarete chiesti: qual è il razionale della combinazione e, soprattutto, è effettivamente sempre necessaria? In questo numero troverete una risposta. Noterete che gli Autori, ai quali abbiamo chiesto un contributo specifico, ricordano che effettivamente la vitamina K, originariamente identificata come fattore indispensabile per la coagulazione del sangue, svolge anche altre funzioni tra cui quella di contribuire alla regolazione del metabolismo dell’osso mediante la carbossilazione dell’osteocalcina. Tuttavia, sebbene gli studi osservazionali abbiano suggerito un’associazione tra bassi livelli plasmatici di entrambe le vitamine e un aumentato rischio di fratture e mortalità, i risultati degli studi di intervento risultano a tutt’oggi incoerenti. Gli Autori concludono che sono necessari ulteriori studi per documentare gli eventuali benefici della supplementazione combinata di vitamina D e K, e per identificare gli individui che potrebbero maggiormente beneficiarne. Va inoltre ricordato che le vitamine agiscono essenzialmente come nutrienti, quindi servono solo se mancano. La carenza e la documentazione di quest’ultima sono presupposti indispensabili per aspettarsi razionalmente dei benefici. Abbiamo già vissuto diverse esperienze con la supplementazione con vitamina D, dai risultati contradditori perché mancavano di questi presupposti essenziali. A differenza della vitamina D, la carenza di vitamina K è molto meno diffusa nella popolazione generale e si manifesta in condizioni particolari e specifiche: nelle patologie da malassorbimento intestinale (ad es. celiachia e fibrosi cistica) o in seguito all’uso cronico di antibiotici o di anticoagulanti antagonisti della vitamina K (come il warfarin) o in caso di dieta fortemente sbilanciata. Va inoltre considerato che la documentazione dello stato vitaminico K è più complessa rispetto a quella indicativa dello stato vitaminico D: non esiste, ad oggi, un indicatore specifico della carenza di vitamina K universalmente riconosciuto e facilmente dosabile. Come ulteriore dubbio sull’opportunità della sistematica e diffusa supplementazione combinata di vitamina D e K ricorderei che con l’eccessiva assunzione di vitamina D, specie in soggetti non carenti, sono stati osservati effetti indesiderati e non sarei sorpreso di riscontrarne anche con una supplementazione soprafisiologica di vitamina K, temibili considerato il suo ruolo in ambito cardiovascolare.
Nell’altro articolo di questo numero troverete un interessante aggiornamento sul possibile ruolo della vitamina D in alcune patologie respiratorie molto diffuse come la rinite allergica e l’asma. Nella rinite allergica pare che la vitamina D possa avere un ruolo preventivo o di attenuazione della manifestazione clinica grazie alle sue proprietà immunomodulanti, in particolare modulando l’equilibrio Th1/Th2. Tuttavia l’Autore riconosce che i risultati degli studi osservazionali attualmente disponibili sono talora contradditori e influenzati da variabili antropometriche quali etnia, età e sesso. A supporto di un possibile ruolo della vitamina D nei confronti del rischio di soffrire di rinite allergica vi sono i risultati di studi che ne prevedono la supplementazione nella gestante o in associazione a trattamenti sintomatici o mirati. Più convincenti mi sembrano le motivazioni ed evidenze disponibili sul possibile ruolo protettivo della vitamina D nei confronti dell’asma. Le possibili motivazioni sono almeno 3: la capacità della vitamina D di inibire la differenziazione delle cellule Th17 e la produzione di IL-17, aumentando al contempo i livelli della citochina antinfiammatoria IL-10; l’effetto protettivo sulla contrazione e il rimodellamento delle vie aeree, inibendo la crescita delle cellule muscolari lisce e dei fibroblasti delle vie aeree e l’espressione dei geni coinvolti nel rimodellamento della matrice extracellulare; infine, la carenza di vitamina D può compromettere l’integrità della barriera e alterare la composizione del microbioma intestinale, con una conseguente disbiosi che potenzialmente compromette le funzioni immunitarie sia locali che polmonari, aumentando così la suscettibilità all’asma. Le evidenze derivano da studi osservazionali di associazione, che documentano che bassi livelli di vitamina D correlano con un aumentato rischio di incorrere nell’asma, ma soprattutto da studi di intervento. Questi mostrano che un adeguato apporto di vitamina D prenatale durante la gravidanza fornisce un effetto protettivo contro lo sviluppo di asma/respiro sibilante ricorrente nei bambini o che la supplementazione con vitamina D può migliorare la qualità della vita dei pazienti e ridurre l’uso di corticosteroidi, il numero di attacchi e il rischio di ricovero ospedaliero per asma. Molto interessante appare, infine, il potenziale contributo della vitamina D per migliorare l’efficacia dell’immunoterapia allergica. Giustamente comunque l’Autore conclude che sono necessari ulteriori studi clinici multicentrici randomizzati controllati su larga scala e con follow-up a lungo termine per comprendere a fondo l’impatto della vitamina D nel trattamento delle malattie allergiche e determinare il dosaggio e la durata ottimali dell’integrazione con vitamina D.
Voi cosa ne pensate?
Buona lettura.