Editoriale

Maurizio Rossini

Dipartimento di Medicina, Sezione di Reumatologia, Università di Verona

Cari Lettori

in questo numero troverete due importanti aggiornamenti in tema di nuove linee guida internazionali sull’uso della vitamina D e sul ruolo di quest’ultima nei confronti di diverse malattie reumatologiche infiammatorie autoimmuni.

Nel primo articolo si sintetizzano e si rivedono criticamente le recenti raccomandazioni dell’Endocrine Society 1. Noterete, secondo me, il riconoscimento di quattro principi fondamentali:

l’inutilità di dosare la vitamina D nella popolazione sana generale, come invece spesso oggi si fa con grande spreco di risorse del Servizio Sanitario Nazionale;

l’opportunità di una supplementazione (definita pertanto “empirica”) in alcune condizioni, come ad esempio negli anziani sopra i 75 anni, durante la gravidanza e in adulti a rischio di prediabete, senza la necessità di una valutazione preliminare dello stato vitaminico D;

il riconoscimento in alcune specifiche condizioni (infanzia, gravidanza, rischio di diabete, età avanzata) di benefici extra-scheletrici della vitamina D, non solo potenziali come noto da tempo, ma reali, in termini in particolare di riduzione del rischio di infezioni delle vie respiratorie, di complicanze durante la gravidanza, di progressione a diabete e di mortalità;

la preferenza per la posologia giornaliera della supplementazione con vitamina D3, che ha maggiori evidenze di garantire benefici, in particolare extra-scheletrici, probabilmente perché più vicina alla fisiologia e come giustificato dal mio gruppo in un precedente numero di questa rivista 2.

Credo che queste raccomandazioni forniscano ulteriore supporto alla necessità di una revisione della nota 96 dell’Agenzia Italiana del Farmaco ³.

Nel secondo articolo si ricordano innanzitutto i motivi per i quali la vitamina D dovrebbe avere effetti immunologici. Si documenta poi che l’ipovitaminosi D, nei pazienti affetti da malattie reumatologiche infiammatorie ed autoimmunitarie (IRDs), è altamente prevalente e significativamente più frequente rispetto alla popolazione generale, ma giustamente si riconosce che l’associazione non è necessariamente espressione di un rapporto causa-effetto. Tuttavia, gli studi prospettici osservazionali hanno evidenziato una maggiore incidenza delle più comuni IRDs nella popolazione generale esposta a ipovitaminosi D e quest’ultima sembra peggiorare l’attività e il decorso clinico della malattia, sino talora a determinare un eccesso di mortalità. Infine, recentemente è stato osservato che la supplementazione con colecalciferolo (2000 UI al giorno) riduce significativamente il rischio di sviluppare alcune IRDs.

Credo che, se si riconoscono alla vitamina D effetti immunologici, in particolare in senso antinfiammatorio e immunoregolatorio, non sia saggio escluderne la potenziale utilità nel prevenire e nel trattare patologie autoimmuni e che sia inopportuno non screenare ed eventualmente supplementare i carenti che ne sono affetti o che sono a rischio.

Cosa ne pensate?

Buona Lettura.

Bibliografia

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